Cerco un linguaggio universale per parlare con me stesso e con gli altri, capire il mio essere e fare capire ad altri come penso, quindi come sono, per confrontare e correggere la mia rotta. Anche a costo di fare una lunga tortuosa strada. Non ho mai pensato di detenere un pensiero superiore agli altri e da divulgare, rappresentare un nuovo linguaggio e/o un’estetica a chi non li ha. Era questa la posizione che ho preso circa una quarantina di anni fa per cominciare a camminare o navigare nel mio cosmo per mezzo del linguaggio dell’arte figurativa. E tuttora sono qui: continuo a viaggiare.
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1929
Nasce a Chuma (Matsusaka, prefettura di Mie, Giappone) da una famiglia di antiche e nobili tradizioni: il padre, Yuzo Horiki (1898-1984), è militare di carriera e la madre, Junko Terada 淳子 寺田, è della prefettura di Kochi (isola di Shikoku) e ha la passione del disegno. Lo zio Kenzo Horiki (1894-1974) è stato Senatore e Ministro negli anni ’50. L’altro zio paterno, Yoshizo Horiki (1892-1971), era un noto critico letterario.
Secondo di quattro figli, Katsutomi, già alla scuola elementare vince il primo premio in un concorso nazionale di disegno. Consegue la licenza media alla scuola Uji-Yamada di Ise e il diploma superiore alla Ujiyamada-Chugaku di Mie. Subito dopo la guerra insegna per qualche anno alla scuola elementare di Izawa.
1948
Si trasferisce a vivere nella capitale Tokyo, dove studia architettura nel corso speciale della Scuola istituita dal Ministero delle Ferrovie. Dopo il diploma si impiega per lo stesso Ministero e in seguito lavora come architetto.
1969
Per dedicarsi totalmente alla pittura si trasferisce in Italia. Frequenta l’Accademia Albertina di Torino e il vivace ambiente artistico dell’epoca. Esordisce nel 1972 con una personale alla Promotrice delle Belle Arte di Torino, presentando opere caratterizzate da segni astratti, da lui definiti “impronte”, impressi su superfici dalla texture materica e posti in vaste campiture bianche o nere.
Nel corso degli anni settanta si afferma in varie mostre personali e collettive (tra cui la Quadriennale di Roma).
Anni '80
Nel corso degli anni ottanta si dedica a un ciclo di lavori ispirato alla “Leggenda della vera Croce” di Piero della Francesca, meditando sull’essenza metafisica dell’arte del maestro rinascimentale. Con questa importante suite intitolata “Storia della vera Croce” Horiki torna a lavorare sul colore, raggiungendo esiti pittorici che hanno riscosso vivo apprezzamento da parte della critica e dei collezionisti.
Anni '90
A metà degli anni novanta si trasferisce a Cigliano (Vercelli) e inizia a lavorare su temi ripresi dall’Odissea (Ulisse, Itaca, Ogigia, Calipso ecc.). Da sempre e sempre alla ricerca di un linguaggio universale, con la serie dell’Odissea Horiki prosegue e perfeziona una ricerca espressiva capace di produrre raffinate vibrazioni di colore entro ampi spazi rarefatti.
Come ha scritto Elena Pontiggia, nella pittura di Horiki “l’immagine non è creata per via di porre, ma per via di levare. Nasce da un alitare leggero del colore, da ‘velature’ sovrapposte: dove col termine ‘velature’ non si intende una tecnica, ma un velo metafisico, un velo di luce che si deposita sulla tela” (“Horiki Katsutomi. L’invariabilità delle cose”, pp. 84-85).
Nel 2007 vince il Premio Sulmona. Si spegne a Cigliano il 23 febbraio 2021.
In alto: Horiki, Giovanni Anselmo, Luigi Mainolfi. In basso: Horiki e Mario Surbone.
Claudio Rotta Loria, Mario Surbone e Horiki al Triangolo Nero, Alessandria.